domenica 21 gennaio 2007

Acquisti africani



Sto cercando di rilassarmi seduta al bordo della piscina del Moevenpick Hotel del Cairo, in attesa che un aereo dell'Armée de l'Air si decida a riportarmi a Parigi. Ho tentato di collegarmi a SL in questi giorni, ma senza successo. L'Africa non è un continente virtuale. Qui tutto è solido, materiale, persistente, come l'odore acre di Mogadiscio che ho cercato di cancellare con tre docce, senza però riuscirci. L'albergo offre la connessione a Internet, ma la linea wireless va e viene. L'unica possibilità è restare in camera, anche se il tepore invernale egiziano e il bicchiere di ayran aromatizzato alla menta che ho di fronte sono così convincenti da farmi preferire un atteggiamento da turista, alla ricerca di un relax di cui ho un terribile bisogno.
Sono riuscita a tornare in SL per un momento solo oggi, giusto il tempo per mandare un paio di messaggi e fare un po' di compere. Sì, un po' di compere. E' questa infatti un'attività che mi permette di non dover prestare troppa attenzione alle relazioni, lasciandomi il tempo di vivere SL in una delle sue manifestazioni più reali e più coinvolgenti.

L'atteggiamento di frenesia e di quasi erotica eccitazione all'atto dell'acquisto è un fenomeno comune in SL, soprattutto nel momento in cui le cifre in questione sono alte. L'idea di rendersi conto di essere sul punto di bruciarsi quei pochi soldi che faticosamente si è riusciti a racimolare ha dell'eccitante, soprattutto perché qui non si devono fare i conti con la sopravvivenza immediata; in pratica, è possibile rimanere senza un soldo e continuare a sopravvivere senza problemi.
Ma il bello è proprio il momento fatidico, quando cioè la scarica di adrenalina che anticipa il click sull'ordine di acquisto ti pervade calda ed eccitante, equivalente a una sniffata di cocaina, come una sensazione inebriante che ti sconquassa per un attimo, senza però lasciarti dentro quasi nulla, se non il rimorso per aver compiuto un gesto tanto azzardato quanto inutile.
Sta di fatto che entrando in un negozio in SL l’atmosfera e le sensazioni sono assolutamente simili a quelle che si provano varcando la soglia di una boutique di rue Faubourg St Honoré a Parigi o di via della Spiga a Milano, con due differenze sostanziali però: non c’è nessun commesso che ti rompa i coglioni durante la scelta e il tuo ingresso ha sempre qualcosa di plateale, di improvviso – se ottenuto mediante teletrasporto – oppure, quando entri in volo come un piccolo aereo senza motore, di ponderato, di misurato, di superiore.

Mi trovavo da qualche minuto di fronte alla vetrina interna di un negozio di occhiali, una mia passione non solo qui in SL. La decisione pareva più lunga del previsto, sebbene abitualmente non ami perdere troppo tempo in questo genere di attività. Mi stavo godendo la situazione e questo era ciò che più contava.
Il locale era piccolo, conosciuto, abbastanza tranquillo, con un piacevole sottofondo musicale tratto dall'ultima compilation di Alex Bugnon.
Stavo cercando di decidere se il paio di occhiali ovali mi stessero bene o mi conferissero un'aria troppo intellettuale e mi stavo dannando con il sistema di aggiustamento tridimensionale, basculando continuamente intorno alla mia faccia cercando di guardarmi da tutte le angolazioni possibili. Gli occhiali mi piacevano abbastanza, anche se non ne ero totalmente convinta: si poteva cambiare il colore delle lenti e della montatura e, soprattutto, si poteva osservare e sentire a distanza senza dare troppo nell'occhio. Un'avveniristica versione di NVG insomma, come neppure il più sofisticato degli equipaggiamenti militari attualmente in dotazione può vantare. Ed era questa la caratteristica che mi conferiva quella particolare condizione di eccitazione in vista dell'acquisto, anche se, come ripeto, non ero del tutto convinta della scelta.
Una voce è comparsa all'improvviso sulla sinistra dello schermo formulando una domanda in francese. Una domanda banale, senza secondi fini, inutile, così come la mia risposta in inglese. Sono seguite un paio di altre domande a cui non ho risposto e che ho lasciato affievolirsi sullo schermo fino a farle scomparire. Poi le domande e i suggerimenti sono diventati insistenti, come l'ostinazione irritante di un venditore di bazar. Non volevo apparire scostante, ma non avevo voglia di fare conversazione.
L’uomo – almeno così sembrava dal nome – continuava imperterrito, proprio mentre decidevo se spendere o meno i preziosi 600 L$.
Mi voltai operando sul controllo della telecamera, ma non vidi nessuno. Ruotai fisicamente su me stessa. Niente. Eppure il tipo non stava usando l’IM, quindi sarebbe dovuto essere nei paraggi. Evitai una risposta al solito apprezzamento sulle mie gambe, poi improvvisamente mi resi conto: il tipo usava un francese d'oltremare, come quello parlato nei locali di Algeri o di Orano.
Presa dalla curiosità sono uscita dal locale, ma non c’era traccia di alcuno.
"E' da un po' che ti osservo" ha detto all'improvviso la voce. "Avrei spostato leggermente la montatura di qualche grado a sinistra".
“Dove sei?” gli ho chiesto con foga. “Perché non ti fai vedere? Che fai, lavori per il negozio?”
Il tipo non ha risposto, continuando a dare suggerimenti sulla scelta e sull’acquisto e continuando – in modo sempre più insistente – a pormi domande personali, facendomi complimenti sulle mie misure e sulle efelidi che punteggiano la mia faccia e le mie spalle.
Mi sentivo osservata, radiografata, ma la cosa strana era che neppure gli occhiali speciali si accorgevano della sua presenza.
Ho deciso di stare al gioco iniziando a indagare sulla sua vita. Dapprima le informazioni sono giunte a frammenti, poi il tale si è fatto prendere dalla foga e ha iniziato ad aprirsi. Finché, a un certo punto, non ho iniziato a sentire un brivido freddo lungo la schiena.
Per qualche motivo il tipo stava usando un programma che lo rendeva invisibile a chiunque, forse addirittura ai tecnici del Linden Labs. Ma, a poco a poco, iniziavo ad avere il sospetto di dove si trovasse fisicamente. Certamente al Cairo, certamente nella hall di un hotel.
Ho deciso di comprare gli occhiali e di disconnettermi. Neanche a dire che la scarica di adrenalina di cui parlavo è stata sostituita da un banale, quanto irritante rumore metallico di cassa automatica, unito alla frenesia di fare presto, concludere l'acquisto e trovare una scusa qualsiasi per lasciare il negozio. L'importante era staccare. E di corsa.

Il bello di comprare su SL è proprio che nessuno normalmente suggerisce cosa e come scegliere, nessuno interferisce in una serie di valutazioni che – spesso – sono un semplice modo per trascorrere il tempo meditando sulle proprie sensazioni. Ma questo, a quanto pare, è un concetto da rivedere.



domenica 14 gennaio 2007

Stati alterati della coscienza



E' più di un mese ormai che vado in giro per gli spazi in espansione di SL e non mi sono ancora stancata, anzi. Da un lato c'è la curiosità quasi morbosa di perlustrare un mondo che è in continua evoluzione, variegato e sofisticato, dall'altra il fascino quasi perverso di sperimentare sensazioni un tempo solo immaginate o, in alcuni casi, semplicemente vissute nell’incoerente, onirica dimensione dei sogni di primo mattino. La costante consapevolezza di rischiare sempre più cadere nel baratro dello sdoppiamento della personalità è forte, un fenomeno così attraente e così pericoloso al tempo stesso da necessitare una serie di paletti psicologici ben saldi.
Mi sono posta il problema spesso in questi giorni, rendendomi conto di scivolare in certi momenti in un vero e proprio stato di alterazione della coscienza, sebbene tale definizione non sia psicologicamente corretta. Più che uno scarto di personalità si tratta piuttosto di indossare un vestito fatto di carne e di ossa, di assumerne gli atteggiamenti, i comportamenti sociali, perdersi in esso fino ad annullarsi, dimenticandosi per un periodo di tempo variabile delle lievi e inconsistenti imperfezioni dello spazio digitale, lo spazio asettico incontaminato di SL che sto vivendo da qualche settimana come la mia prima vita. Il dramma si presenta sempre più spesso all'atto del ritorno, a quei brevi momenti che separano un log-off da una nuova connessione, che mi fanno ripiombare in modo traumatico nelle consuete dimensioni della vita fisica.
La donna reale che ormai impersonifico con sempre meno convinzione si sta a poco a poco trasformando in un pallido riflesso di Rossana, se non fosse per le fattezze orientali, l'altezza e il fisico asciutto. La donna che conoscevo bene un tempo si sta trasformando in qualcosa che sta a poco a poco sta perdendo spessore, che diviene inconsistente e reale solo per qualche momento, portando alla donna vera, a Rossana Fleury, quel bagaglio di lunga esperienza accumulata in anni di vita e di lavoro in giro per il mondo. Nient’altro.
Mi osservo di tre quarti riflessa da uno specchio all'aeroporto di Milano, in attesa che un aereo olandese mi porti a Tel Aviv via Amsterdam, dannandomi con la rete wireless che non mi consente di immergermi ancora per un attimo nelle atmosfere fatate di SL. Non noto differenze essenziali da qualche anno fa. Mi sembra di non invecchiare, quasi che la staticità temporale di Rossana sia in realtà qualcosa di preesistente, di immanente alla mia persona; che ci fosse solo bisogno di evocarla e di sollevarla da uno stato di eterno torpore.
E' da tempo che sto pensando a una soluzione alla netrunner, quell'individuo di gibsoniana memoria che collegava il proprio cervello alla rete viaggiando verso le spettacolari luci della città di Chrome. Ma la tecnologia ancora non è arrivata a tanto, né avrò forse mai la fortuna di sperimentare tali impressioni sconvolgenti. Sarebbe bello però poter avere impressioni fisiche, dolore, freddo, senso di vertigine, sapori… le uniche cose che veramente mi mancano mentre sorvolo isole digitali e costruzioni fantastiche.
Nelle ore precedenti il mio trasferimento verso l'aeroporto ho bighellonato per un po' di tempo tra il Phat Cat's club e lo Sphynx, due circoli jazz molto alla moda, il primo quasi impossibile da raggiungere perché molto, troppo frequentato, l'altro tranquillo, senza confusione, da cui è possibile osservare spettacolari tramonti digitali attivando coreografie pirotecniche di sicuro effetto.
Al Phat mi sono intrattenuta a parlare con un paio di hosts e con il titolare, un americano alto, sempre cordiale, che - nei rari momenti di busy mode - rimane appollaiato sul cartello indicatore, quasi stia osservando dall’alto la scena e che si assicuri che tutto vada per il meglio.
Un tale mi ha coinvolto in un tango tranquillo. Un tipo anziano, con uno smoking attillato, i capelli bianchissimi corrosi da una forte stempiatura, e un fare raffinato, leggermente sotto tono. Sulle note di un vecchio brano di Lee Ritenour si è lasciato andare parlando di se stesso. Una vita infelice, un arresto cardiaco, ore tra la vita e la morte, l'impossibilità di condurre una vita normale, SL come rifugio da una vita ormai inutile e dolorosa. Mi ha fatto pena e ho cercato di stringere un'amicizia, ma si è subito allontanato rifiutando la mia richiesta. Si è scusato, poi è calato il silenzio. Ho avuto l’impressione che non fosse mai esistito, che mi fossi immaginata tutto. Gli ho chiesto di trasferirsi allo Sphynx, per parlare con più tranquillità, e ha accettato; poi, all’atto del teletrasporto, è sparito, come la scia di una stella cadente in una notte d’estate.
L’ho aspettato per un po’, l’ho cercato, ma il suo nome non era più raggiungibile, non era neppur presente tra gli avatar offline, quasi che la sua presenza fosse stata una semplice immagine sfocata di qualcosa di inconsistente, spettrale, giunto a me da una dimensione diversa per rendermi partecipe della sua angoscia.
Una profonda, sottile tristezza ha iniziato a pervadermi lentamente. Mi sono appoggiata alla balaustrata del locale guardando in lontananza e sperando in un segno. Nulla.
Ho disattivato lo stream musicale proprio nel momento in cui la bartender giapponese dello Sphynx mi offriva un Bentley in un grande bicchiere opalino. L’ho assaggiato tentando di indovinare un sapore impossibile, cercando di distinguere l’aroma del Calvados tra le labili fragranze del Dubonnet senza però riuscirci. L’immaginazione, almeno questa volta, non mi è stata d’aiuto.


mercoledì 3 gennaio 2007

Capodanno digitale



Mi sto muovendo a un centinaio di metri di altezza su un mare piatto, senza increspature. L'unica sensazione è un fruscio leggero di vento, come veleggiare su un aliante in uno spazio senza dimensioni. Il sole alla mia destra si sta trasformando in una palla rossa, immensa, senza calore. Mi alzo di un altro centinaio di metri evitando le creste di un rilievo. Il vestito, vaporoso, di seta nera a falde, si muove dolcemente come la pinna caudale di un Black Moor in un acquario. Più in basso il nulla, se non uno strato biancastro di nuvole impalpabili.
L'ultimo modello di occhiali comprato nel pomeriggio mi avverte della presenza di qualcuno molto più in basso, mentre una lista di nomi inizia a comporsi a poco a poco sulla sinistra dello schermo. Ci siamo ormai. Seguo sulla mappa la disposizione dei punti verdi colorati e scendo dolcemente sulla verticale. Mi piace volteggiare senza peso fra le astratte costruzioni di SL, fra gli alberi digitali mossi da algoritmi variabili che li fanno ondeggiare in modo innaturale, ma così bello a vedersi. Preferisco i tempi dilatati del trasferimento in volo, anziché l'immediatezza del teletrasporto, il modo più facile per muoversi in questo spazio che di giorno in giorno si accresce sempre più.
I confini limitati e ben definiti delle abitazioni futuristiche compaiono ai miei piedi. Gli occhiali mi avvertono degli ultimi arrivati, poi cessano di funzionare: troppa gente ormai, la lista di estenderebbe a dismisura. Sono le 23:30 ora di Parigi del 31/12, le 14:30 del PST, orario ufficiale di SL, e la gente dall'area GMT +1 è in arrivo per festeggiare il nuovo anno in una discoteca alla moda.
Atterro fra creature bizzarre. Un furry mi saluta, un tale con un vestito da sera mi chiede un bacio, che gli nego, un samurai completo di Daisho sta parlando con una ragazza indiana in sari coperta di piercing.
M'infilo nel locale con un evidente lag informatico. Le immagini di me stessa iniziano a muoversi a scatti, mentre i lampi di una enorme discoteca escono a sprazzi da una porta gigantesca sempre aperta. Mi danno con le freccie della tastiera per riportare il movimento alla normalità, mentre un botto scuote i vetri della mia finestra di fronte al computer. La finestra del mondo reale intendo. In SL invece tutto è silenzio, sebbene il chiasso sia più che evidente per le innumerevoli voci che si levano da un fondo inconsistente, parole scritte in lingue e stili diversi che si susseguono senza interruzione sulla sinistra dello schermo e che svaniscono impallidendosi a poco a poco come suoni lontani portati da un'inconsistente brezza digitale. Solo un leggero rumore d'acqua corrente sembra giungere dagli altoparlanti del computer.
Due host mi salutano cordialmente: lei in abito lungo da sera di tonalità argentea, ha le spalle scoperte e una lunga chioma flex che le ondeggia a ogni minimo movimento; lui indossa un blazer blu, con un paio di scarpe fuori dimensioni. Mi accorgo che lei ha una pelle speciale, costosa, molto reale, picchiettata da leggere efelidi sul collo e sugli zigomi. Mi avvicino per osservarla meglio. Gli occhi azzurri mi fissano senza espressione, con la profondità di una bambola costosa. Il ritmico spostamento del suo seno è così reale che quasi mi sento imbarazzata a osservarla così da vicino. Mi guarda sbattendo gli occhi, restando fissa in una posizione sexy che cambia simmetricamente a seconda della direzione verso cui è rivolta, ma probabilmente non mi vede.
L'uomo si allontana silenzioso oltrepassandomi.
Lo schermo mi si affolla di frammenti di dialoghi, sbriciolati e leggeri, che si perdono quasi istantaneamente. Attivo la console del controllo musicale per rompere il silenzio irreale che riempie la mia stanza. Lo streaming di un brano hip-hop a tutto volume si fa largo con violenza. La qualità della trasmissione è altissima, quasi avessi inserito un cd nel lettore. Un grosso gruppo di afroamericani sta ballando. Alcuni in coppia con i colori delle bande del Bronx, due ragazze di colore si strofinano contro due neri enormi, muscolosi, con bracciali in oro che lanciano sprazzi di luce sul pavimento multicolore della discoteca.
Decido di attivare il sistema di script automatico e inizio a danzare ritmicamente al suono di un brano di Snoop Dog, mentre la host si allontana sculettando dolcemente nel vaporoso vestito argenteo che lascia intravvedere le lunghe gambe abbronzate. Tengo d'occhio la sala agendo sulla camera di controllo. Ecco i primi in arrivo.
Sono due ragazzi giovani in jeans, ben curati nei particolari, con tee shirt multicolori.
La richiesta viene anticipata dal ritmico ticchettare della tastiera, mentre il più basso dei due mima la scrittura con le mani piatte, quasi bidimensionali, segno di un recente arrivo in questo strano e labile mondo informatico.
Mi chiede in slang americano se ho voglia di fare due salti con lui.
Gli rispondo cercando di mantenermi quanto più possibile distaccata, ma senza dimostrare freddezza. In una notte così non è consentito.
Torna alla carica facendo i complimenti per i miei occhiali e mi chiede la provenienza. Rimango sul vago. La linea di confine fra il moralmente lecito e l'illiceità dell'occasione è così labile che basta poco a rovinare un incontro.
Il ragazzo butta il discorso sul personale, parla del fascino di una donna con le fattezze orientali, solite cose che - anche se consuete - mi danno sempre una minima soddisfazione.
Inizia a parlare di se stesso, di un corso di informatica avanzata alla Pacific University di Forest Grow, poi mi chiede di andare con lui da qualche parte. La proposta è sempre la solita, scontata e noiosa: fare del sesso digitale. Ecco la costante di SL. Taglio corto spostandomi di qualche metro, ma la sua voce mi giunge in IM, il sistema chat nascosto che permette di dialogare in modo personale.
Lo liquido bruscamente, mentre il secondo interviene cercando di intercedere per l'amico. Rifiuto una richiesta di amicizia e mi sposto di qualche metro ancora. Il ritmo della musica è sempre più ossessivo, mentre le immagini si muovono a scatti. Il tale dice qualcosa, ma evito qualsiasi risposta e, alla fine, le sue parole iniziano a perdersi nel fiume in piena dei tanti dialoghi che affollano lo spazio dello schermo.

Mancano 12 minuti allo scoccare dell'ora e la gente sembra essere sempre più numerosa. Il controllo della visualizzazione è sempre più difficile e frustrante. Decido quindi di concentrarmi sui due livelli di chat permettendo al mio avatar di ballare senza interruzioni.
Una voce mi giunge via IM, mi chiede informazioni sulla mia vita reale. E' un collega di una tv internazionale che sta passando le ore su SL provando a raccogliere materiale per un articolo. Iniziamo una lunga discussione sulle conoscenze comuni e sulla politica internazionale, della Somalia e del mio probabile viaggio in quell'inferno, dell'esecuzione di Saddam Hussein a Baghdad, di George Bush... mentre il tempo scorre senza sosta.
E' una situazione piacevole. Mi alzo un attimo dalla postazione e mi faccio un nescafé, mentre dalla strada giungono voci concitate di persone in attesa del momento fatale.
Rileggo le frasi che il mio nuovo amico mi ha scritto nel frattempo e rispondo concentrandomi, finché un suo messaggio non mi riporta alla realtà: manca un minuto allo scadere della mezzanotte. Gli chiedo come vive d'oltreoceano, a sei ore di
differenza, il passaggio al nuovo anno, qui, dall’altra parte del mondo. Anche per lui è un’esperienza strana, sebbene meno coinvolgente della mia. Poi mi arriva un’affermazione che mi colma di felicità: "come potrei lasciarti sola in un momento così importante?".

Ora mancano trenta secondi, venticinque... mi guardo intorno e scopro che siamo rimasti praticamente solo noi due sulla enorme pista da ballo della discoteca.

quindici, quattordici... vorrei abbracciarlo. Gli mando un messaggio rapido, pieno di refusi per la foga… Non so come si faccia ad abbracciare qualcuno in SL… forse mi manca lo script dell’animazione… non importa…

dieci, nove, otto... L'amico scandisce gli ultimi secondi in inglese, io glieli ripeto in francese.

Tre, due, uno.... HAPPY NEW YEAR!!! S novjm godom! Dice una voce in russo sulla sinistra dello schermo.
Ho un'agitazione addosso che mi fa saltare sulla sedia, così come lo spavento per una una serie di esplosioni giù nella strada. Il cielo di Parigi è illuminato a giorno. C'è gente che balla in mezzo al boulevard tre piani più sotto.

Torno al monitor e la faccia sorridente del mio amico appare diafana in un effetto realistico di nebbia all'anidride carbonica. Il lag sembra scomparso, tanto che posso girarmi e guardare ovunque senza problemi di sorta.

Decido di scollegarmi, mentre il mondo intorno a me sembra impazzito. Spengo il computer buttando giù l'ultimo sorso di nescafé ormai freddo. 
Mi infilo sotto la doccia con  la sensazione di aver trascorso uno dei capodanni più riusciti della mia vita. Fra un'ora potrei ricominciare e festeggiare con qualche amico inglese e ripetere, al contrario, quanto ha fatto con me il giornalista americano, ma preferisco lasciar stare.
Sarebbe come voler forzare la mano al destino.