giovedì 1 marzo 2007

Eminent Victorians



"Signorina Fleury, gradisce un altro pasticcino?" mi chiede la piccola signora seduta sulla punta della seggiola. Ha un’acconciatura ricercata e il suo avatar emana una serie di piccole farfalle variopinte che si perdono nell’atmosfera della tea house.
"No grazie, oggi ho esagerato con i dolci. Poi mi sa che vi dovrò lasciare quanto prima. Ho un sacco di cose da sbrigare e il tram a vapore passerà a minuti".
Il dott. Fairweather si alza nel suo doppiopetto nero di taglio londinese e mi fa un leggero inchino.
Mi sento un po' impacciata nel nuovo vestito, soprattutto per l'intelaiatura metallica che si rende scomoda soprattutto quando devo sedermi. La coppia si avvicina e mi saluta in modo formale, usando forme linguistiche ormai fuori moda. Almeno da 70 anni. Mi volto verso la porta...non è male il cappellino a fiori che ho comprato di recente all'atelier all'angolo. Moda francese, dicono. Sarà, ma io a Parigi un taglio e un tessuto del genere non li ho mai visti.
Mi dirigo verso la strada inciampando leggermente nelle falde anteriori del vestito, mentre una coppia aspetta il tram dall'altra parte della strada. Lui è vestito di tutto punto con grandi favoriti che gli scuriscono le guance. Porta sotto braccio una mezza tuba lucida e un bastone da passeggio con il pomo d'argento. Lei è in rosa. Appoggiato al braccio porta un ombrellino intonato cromaticamente al colore del vestito, vestito vaporoso di chiara fattura italiana. Continuo a inciampare, ma i due non lo danno a vedere, o almeno così sembra. Mi salutano cordialmente, mentre - in lontananza - la scia bianca di vapore prelude a un imminente arrivo del tram.

Non sono ancora riuscita a vincere le piccole scomodità del mondo inglese di fine ottocento, che da qualche tempo sto frequentando con sempre maggiore assiduità, ma questo non è un problema. Il mondo vittoriano è un mondo che da sempre sento come mio, ben prima del mio arrivo su SL, soprattutto dopo quel lungo periodo trascorso a Londra ormai più di un decennio fa.
Mi sono lasciata per qualche momento alle spalle le soluzioni high-tech e la tecnologia avanzata dei quartieri giapponesi e americani di SL e ho scoperto quasi per caso un mondo strano, fatto di révenants culturali, di rievocazioni linguistiche ormai sepolte da decenni, di sensazioni e di gusti old fashioned e di una tecnologia avanzatissima fatta di macchine a vapore, aerostati e velocipedi.
E' forse questo uno degli aspetti che rendono SL più gioco e meno realtà parallela alla RL. Rivestire i panni di una signorina francese di fine ottocento è certamente allettante ma, là dove nella normale vita digitale di SL quello che cambia è sostanzialmente il medium fisico nello svolgimento dei fatti (mentre ci si presenta emotivamente e culturalmente sempre come se stessi), in questo caso quello che deve cambiare è una mentalità, sono gli atteggiamenti, il modo di comportarsi e di parlare. Il divertimento è assicurato, anche se c'è sempre dietro l'angolo il rischio di creare una caricatura di se stessi e di divenire lo zimbello di chi, invece, coltiva da anni questo tipo di interessi.
Sta di fatto che l'impersonificazione, quello che gli anglosassoni definiscono "role play", è qualcosa di simpatico e coinvolgente che, sebbene pervada essenzialmente la dimensione ludica, si presta a ore di sano divertimento e - perché no - di indubbio accerscimento culturale.
Impersonificare una signorina francese dell'epoca di Dreyfuss in viaggio nell'Inghilterra del Diamond Jubilee o della grande esposizione universale di Londra non è però qualcosa di semplice. Bisogna valutare una serie di atteggiamenti, dosare in modo sapiente elementi svincolati dalla normale esperienza quotidiana e, soprattutto, tentare di continuo una ricostruzione storica di difficile attuazione, spesso perché non sempre quello che si crede sia filologicamente corretto risponde a un reale provato, visto che ormai - in buona parte - questo mondo e le sue caratteristiche formali e strutturali sono qualcosa di sostanzialmente dimenticato.

Il viaggio in tram è piacevole. I due si siedono qualche posto più avanti, così non corro il rischio di venir coinvolta in una discussione che mi svierebbe dall'osservare il panorama al passaggio. Passiamo in mezzo a una fila di piccole case dal tetto a punta in ardesia circondate da giardini curati nei minimi particolari. Una piccola chiesa torreggia fra lapidi grigie sconnesse, mentre una signorina pettoruta passa lentamente lungo il marciapiede, anticipata da qualche metro da un carlino grigio chiaro.
Non c'è quasi nessuno per strada. Ogni tanto, lungo il marciapiede, intervallata regolarmente da alberi in fiore, compare la cassetta rossa della Royal Mail. Il tram procede leggermente a strappi, fermandosi di tanto in tanto per raccogliere gente in attesa. Un ragazzo con i calzoni alla zuava e in blusa da marinaretto si siede qualche posto più in là. Lontano, nel cielo, un dirigibile passa oscurando per un attimo il cielo terso di SL.
È una situazione ideale di tranquillità e relax mentale. Ho disattivato tutti i controlli automatici, radar, mappe e quant’altro proprio per vivere in modo quanto più totale e reale questa breve, ma interessante esperienza.
Un fabbrica sta vomitando tonnellate di residui neri che si disperdono nell'atmosfera, ma non c'è segno di fuliggine in giro, né il sentore di carbone nell'aria.
Un tale sta cercando di far sollevare un enorme uccello meccanico con la forza delle braccia. Si alza di qualche metro, ma ricade immediatamente sul terreno rimbalzando leggermente sulle ruote piene dai cerchi in legno duro.
Scendo dal tram e mi dirigo verso quello che viene conosciuto come il Dickens’ Village, un luogo incantevole, che tuttavia segna il punto di passaggio fra il mondo quasi reale dei vittoriani di SL e quella che è una ricostruzione per turisti di un mondo ormai perduto. Le piccole abitazioni, che si affacciano su una stradina, sono fitte di piccoli negozi in cui è possibile acquistare merci per turisti, cartoline, vestiti all’ultima moda nel quartiere di Shinjuku. La cosa inizia a disgustarmi. Esco da un negozietto e mi dirigo verso una piccola chiesa, l’unico posto in cui non sembra esserci traccia di ricostruito, di falsificato. Mi siedo su una panca e basculo con la telecamera per cercare di vedere l’effetto generale. La posizione non è certo devozionale, mi sembra più di essere seduta sullo sgabello di un bar di quart’ordine che non sulla panca di una chiesa. In quel momento entrano tre persone. Parlano fra loro in turco. Mi alzo e passo in mezzo a loro dirigendomi verso l’uscita. Mentre attivo il comando di sconnessione noto una domanda, la classica domanda su possibili prestazioni sessuali. Eccomi di nuovo in SL, nella sua parte peggiore, naturalmente.

1 commento:

Samantha Goldflake ha detto...

Chapeau, ancora una volta. Il tuo blog vale quanto un buon libro, lo adoro!

A presto, io torno alla mia tosse... uffa...