martedì 24 aprile 2007

Western asiatico



L'ultimo ricordo della capitale del Tajikistan è un tramonto straordinario, come è possibile gustare solo in metropoli tentacolari, oppresse dalla caligine oleosa di una permanente cappa di smog. Dushanbe non è niente di tutto questo. Non è né Città del Messico né Pechino, tanto per intenderci; città invivibili, impossibili, soffocanti, di una vastità inquietante e opprimente, così come il loro tasso d'inquinamento, così come la loro bellezza.
Dushanbe è una piccola, noiosa, sporca città, come le tante disseminate nei vari Stati ex sovietici dell'Asia centrale, buona per produrre petrolio, focolai d'irredentismo islamista o essere usata come base avanzata per missioni militari. Nient'altro. I suoi tramonti sono però qualcosa di straordinario: rossi accesi che si stemperano liquidi in tonalità che vanno dal giallo intenso all'ocra pallido e slavato, come i riflessi fluidi di vernici industriali mescolate appena fra loro.

Ho trascorso una ventina di giorni a Dushanbe, presso l'aeroporto cittadino, sede della base aerea francese dell'ISAF; una parentesi accettata per fuggire a una depressione incombente provocata da una serie di profonde delusioni personali. Amicizie che si sono dissolte come volute di fumo nella brezza leggera della vita e che ancora non riesco ad accettare se non con un tuffo di disperazione nel profondo di me stessa.

La missione è finita da un paio di giorni e ora me la sto prendendo comoda, da turista, a Istanbul, fra un bagno in piscina, una passeggiata fra le piccole strade contorte del Kapali Carsi e brevi, ma intensi ritorni su SL, nell'unica dimensione che più mi è mancata in questo lungo periodo fatto di odore pungente di kerosene, di rumori assordanti di Mirage in decollo e di lunghi, interminabili debriefing post-missione.
Mi trovo a osservare un colore simile, in un cielo terso, senza nuvole, seduta nella hall dell'albergo, il portatile aperto sulle ginocchia. Più in là un gruppo di uomini d'affari he parlano veloce nella lingua locale, senza curarsi di me. Il paesaggio è riarso da un sole senza calore, mentre un effetto di polvere in sospensione rende gli oggetti lontani sfumati e leggermente fuori fuoco. Sono capitata qui facendo una ricerca casuale. Sono vestita pesante, con un abbigliamento da metà ottocento, residuo della mia ultima passeggiata per il sim vittoriano. Dove mi trovo sembra essere un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini. Il clima è desertico, caldo, ostile. Il nome del sim pure: Tombstone.
Non ho mai amato gli western. Mi hanno sempre annoiata. Ma ritrovarmi qui nei panni di una turista francese in un paese minerario americano nella seconda metà dell'800 ha qualcosa di eccitante.

Il luogo non è certo molto frequentato. Sulla minimap sono presenti solo due punti verdi, lontani, in mezzo a un complesso di edifici che non riesco ancora a visualizzare. Mi avvicino al paese sollevando al passaggio una leggera polvere rossastra.
Le case in legno di stile americano si visualizzano con difficoltà. Compaiono piccole botteghe. Un sarto, dal gusto assai dubbio, ideale per il livello degli abitanti di questa ex colonia del grande impero britannico. Un emporio che vende un po' di tutto: dall'abbigliamento per squaw agli stivali da cowboy, ai cappellini da signora, falsa copia di una moda europea ben più raffinata.
Mi infilo in un'armeria, giusto per la soddisfazione di completare la mia dotazione di armi con qualcosa che sia consono all'ambiente. La scelta cade naturalmente su una Derringer, la pepperbox però, a quattro colpi. Un po' più efficace della versione bicolpo da giarrettiera. Mi rendo conto che sto entrando nella parte. Che bello essere di nuovo su SL.

Il sim sembra convincente: prevede un atteggiamento da role play che per me è una novità. Dovrei leggere le istruzioni, ma lascio perdere. Riesco a fingere con me stessa, figuriamoci con gli altri...
L'uso della Derringer è semplice. Al momento dell'utilizzo è comparsa una finestra in cui sono evidenziate le munizioni in canna e il livello di vita dell'utilizzatore. Ma che succederebbe se dovessero uccidermi?

I due punti sulla mappa si stanno dirigendo verso di me. Provo a vedere cosa succede allontanandomi un po' verso l'albergo del paese. Non c'è nessuno naturalmente. Mi siedo a un tavolo e aspetto. I due tipi parlano fra loro in tedesco, anzi, per essere più precisi, in Schwitz-deutsch; lo noto dalle voci che appiaiono sbiadite sulla sinistra dello schermo. Restano fuori dal locale per un attimo, poi entrano con forza spalancando la porta in modo quasi teatrale: sembrano personaggi usciti da un film di John Wayne. Il primo indossa una camicia bianca, sporca, con le maniche rivoltate. Veste un completo scamosciato con le frange; i sovrapantaloni bisunti che lasciano intravvedere due stivali scuri impolverati. Noto spuntare dalla fondina l'impugnatura di una pistola di grosse dimensioni, con tutta probabilità una Smith and Wesson modello 1869. L'altro è un uomo anziano, vestito di nero, con un lungo impermeabile e la catena dell'orologio che lancia bagliori dorati sopra il panciotto. Ha in testa un cappello nero, pulito, che contrasta con i folti baffi bianchi. Ha in mano un fucile, il classico Winchester con la maniglia di ricarica.

Mi salutano in inglese e inizia la farsa...


"Ehi bella, perché non vieni a farti un giretto con noi? Hai odore di pulito tu... Da dove vieni? Dalla città?"

"Sono francese" rispondo. "Cosa c'è di bello da queste parti?"

I due si avvicinano. Mi alzo in piedi. Non so perché, ma qualcosa mi dice che la situazione stia degenerando. Il bovaro inizia a spingermi in un angolo.

"Tu sei bella", dice continuando a spingermi. "Con una come te ci sono tante belle cose da fare da queste parti" dice il tipo. "E noi adesso ci divertiamo un po'...Dai vieni su, ci sono tante stanze libere..."

Non capisco se entrare nella parte debba obbligarmi a fare la puttana, oppure io possa reagire in qualche modo. Provo a non dargliela vinta usando i mezzi che il sim mi mette a disposizione. Mi viene da ridere pensando alla situazione e al fatto che sia tutta una commedia, ma nella sala aleggia un'atmosfera strana, che sembra andare al di là del gioco dell'interpretazione.
Il tipo in nero si tiene leggermente in disparte, mentre riesco a liberarmi e a correre verso l'uscita.
I due mi seguono. L'atteggiamento è ostile, come già successo più volte in questo strano mondo in cui la violenza e il sesso sono sempre dietro l'angolo, in agguato.

"Dai vieni con noi" dice il bovaro. "Ti promettiamo di non farti male".

Attivo la visualizzazione a mouse e impugno la pepperbox.

"Oddio che paura!" dice il tipo in nero.

"Non costringetemi a usarla" urlo mentre il tipo dalla camicia mi raggiunge. Per un momento passo alla visualizzazione classica e noto che il tale mi ha afferrato per un braccio. Ritorno in visualizzazione mouse e gli sparo a bruciapelo all'altezza del fianco sinistro. Il tale cade in ginocchio in una posizione da vero film western.
Poi un lampo. Lo schermo s'arrossa. Mi rendo conto di guardare verso il cielo. Una fucilata mi ha fatto perdere tre punti vita su quattro.
Attivo la telecamera esterna e la scena mi riempie d'angoscia. Mi vedo semidistesa in posizione disarticolata, il tipo in camicia che sta cercando di rialzarsi e il tale in nero che mi punta il fucile sullo sterno. Torno in modalità mouse e gli scarico la pepperbox all'altezza dell'inguine. Noto sulla sinistra comparire una bestemmia in tedesco. Poi un altro lampo. Il cielo diventa sempre più scuro, i contorni delle cose perdono definizione, mentre lo schermo si annebbia. Sto morendo. Stacco la connessione e spengo il computer.

I businessmen stanno ordinando da bere. Il cameriere turco mi lancia un sorriso abbagliante sotto un paio di folti baffi neri; ne approfitto per chiamarlo con la mano e ordinare il mio solito ayran. Appoggio la testa alla poltrona e mi tolgo le scarpe. Sono seduta di fronte alla grande vetrata dell'hotel e lascio che lo sguardo vaghi per un po' sui tetti delle case della città. Un mare di tetti su cui il cielo di aprile inizia gradualmente ad arrossarsi. Nuvole sfilacciate restano immobili intorpidite, senza consistenza, lontane.
E' un tramonto diverso questa volta. Forse il più bello di tutti. Mi osservo nel riflesso della vetrata. Sto dimagrendo ancora; le ossa delle spalle traspaiono sotto la camicetta di Dolce e Gabbana che ho comprato ieri in centro. Lo so e non so perché me ne preoccupo: è solo l'effetto di una situazione naturale.
Sono morta ormai, ma non è un problema; era scritto che prima o poi dovesse succedere.

1 commento:

Anonimo ha detto...

tutti i tuoi raccontini sono belli, li leggo volentieri - continua, per favore.