mercoledì 11 luglio 2007

Gudrun

Quattro mesi di lontananza quasi obbligata da SL sono un'eternità. La maledetta ernia del disco che mi ha tenuta inchiodata a una poltrona per due mesi lontana da qualsiasi connessione in banda larga è svanita sotto i ferri del chirurgo. Un paio di settimane di riabilitazione, lunghe passeggiate con il mio angelo custode lungo i viali del Jardin du Luxembourg, un breve, intenso ritorno al mio lavoro e qualche puntata sporadica nel mondo fatato di SL: il tutto è bastato a farmi rivivere.
Già, rivivere.
Ma anche riuscire a scappare da Parigi, una città che negli ultimi mesi ho odiato come null'altro al mondo. L'ho lasciata qualche giorno fa con sollievo approdando in una Milano fresca e ventilata, ben diversa dalla sporca città afosa che pensavo di ritrovare dopo la mia lunga assenza.

L'idea di tornare a girare per SL si era invece affievolita col tempo, anche se i riscontri giornalistici sempre più insistenti in questi ultimi mesi - devo dire - mi hanno lasciata con l'impressione di perdere qualcosa di grande e di importante. Il bisogno quasi fisico di una connessione era quindi impellente, anche se la necessità di condividere sensazioni digitali rimane sempre un po' come il sesso o come il cibo: meno lo pratichi, meno te ne viene voglia.
Ho fatto uno sforzo, devo ammetterlo, ma forse ne è valsa la pena.
Certo è che le due Rossane sono molto cambiate in questo lungo periodo, non solo fisicamente (una più magra e tirata, l'altra più seria, con un diverso look), ma anche negli atteggiamenti (l'intraprendenza e l'effervescenza di prima sono venute meno a entrambe). Non sono però cambiate le abitudini: il mondo orientale tiene sempre legate entrambe a sé in modo spasmodico, come un cordone ombelicale infrangibile che porta le due personalità sempre più spesso a sognare mondi e spazi interiori difficili da condividere con chi sta loro vicino, soprattutto con chi non possa - per motivi, diciamo così, di ordine genetico - staccarsi culturalmente ed emotivamente dallo spazio culturale occidentale.
Trovare qualcuno che, come me, sia una mezzosangue, un miscuglio di razze, che abbia una personalità difficilmente
collocabile in questo o in quell'altro mondo (parlo della RL, naturalmente) è difficile. E' difficile nella vita reale, figuriamoci nel mondo digitale.
Tutto ciò è però un peccato, dato che, con una persona di tal fatta, tutto sarebbe molto più facile, come la sincronizzazione di due orologi collegati elettricamente fra loro.


Mi sono collegata a SL un tardo pomeriggio di domenica, momento ideale per sperare di incontrare qualcuno dei vecchi amici digitali; nessuno però era in linea. Ho vagato per un po' nei soliti luoghi una volta familiari, ora profondamente cambiati: il Phat's club, l'Italian Beach, lo Swinger's, il mio vecchio, amato locale olandese, in cerca di buona musica e di qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere. Nessuno di noto, solo gente intenta a ballare o a farsi i fatti propri, senza voglia o interesse nel coinvolgere una vecchia, antipatica signora dalla faccia orientale vestita in un tailleur démodé. Così ho deciso di trasferirmi a Nagaya tanto per sentirmi un po' più a casa, con l'idea di assaporare l'inconsistenza digitale di una zuppa di miso e, magari, provare il sapore da tempo dimenticato di un piatto di o
yako donburi.

L'incontro è stato casuale, quasi scontato: un sushi bar anonimo, un momento di svogliatezza, quasi di noia, che è sfociato in un'attrazione tanto profonda quanto strana e improbabile. Gudrun si è presentata come una visione di me stessa. Un po' più alta, ma con le medesime fattezze e con un senso dell'oriente così forte da vincolarmi in modo quasi sconveniente fin dal primo sguardo. E' arrivata leggera, le sue lunghe gambe abbronzate procedendo sinuosa con un'animazione raffinata, la migliore che abbia visto in SL.
Si è appollaiata sull'alto seggiolino del sushi bar a un paio di posti da me e ha ordinato un piatto di sashimi, lo sguardo perso verso un gruppo di avatar raccolti intorno a una panchina in ferro battuto.
La richiesta di informazioni dal profilo non è stata immediatamente illuminante. Solo una scritta in tedesco. Il testo di un componimento di Schiller sulla morte e le tenebre.
Un tipo solitario, certo, ma con un fascino straordinario, che traspariva anche solo dal modo di atteggiarsi seduta al bancone del bar. Sono restata incollata alla sua figura brandeggiando la telecamera e usando lo zoom per cercare di trovare delle imperfezioni nel suo avatar. Nulla: la perfezione fatta a persona.
Mi sono presentata in inglese e lei ha risposto in francese.

"Ho letto il suo profilo." mi ha detto. "Lei è francese, ho notato. Meglio. Non mi piace l'inglese. Non mi permette di esprimermi con la profondità che vorrei. Se per lei non è un problema...".

L'uso della forma linguistica alla seconda plurale mi ha creato un certo imbarazzo, ma l'ho lasciata continuare.


"Ho letto il suo profilo... interessante...", ha accennato portandosi alla bocca un pezzo di tonno intinto nella scodella di salsa di soia. "Mi sembra di leggere la mia vita... tanto tempo fa ormai..."


L'ho lasciata parlare avvertendo che solo così avrei potuto capire qualcosa di più. In compenso il senso d'attrazione cresceva a dismisura. Non riuscivo a togliere gli occhi dalla sua persona, perdendo in certi momenti il filo del discorso.
Abbiamo parlato per un po' del più e del meno e, da una serie di frammenti di informazioni, ne è scaturito un quadro interessante, sempre più strano e particolare... come se già sapessi con chi avessi a che fare: donna sola, figlia di un tedesco di Transilvania e di una giapponese. Nata a Cluj-Napoca, una vita divisa fra Kyoto e Londra.

Abbiamo lasciato il ristorante teletrasportandoci su una spiaggia, continuando a parlare passeggiando sulla rena inconsistente, mentre il sole a poco a poco passava dal bianco all'arancione cupo, al rosso scarlatto abbassandosi a scatti leggeri sull'orizzonte.
La sensazione del dejà-vu, intanto, si faceva sempre più acuta. Per un attimo ho avuto l'impressione che fossi io stessa a controllare domande e risposte, quasi rispondessi a me stessa. Ma nel momento in cui ho iniziato ad avere quella sensazione c'è stato un cambiamento improvviso.

Gudrun si è fermata e si è avvicinata guardandomi fisso. Il ricordo dell'esperienza sull'isola si è ripresentato spaventoso, come il segno forte e labile al tempo stesso di un sogno interrotto, mentre il suo sguardo ha iniziato a scrutarmi nel profondo aumentando in modo sempre più forte il mio senso d'inquietudine.

Ho tentato di chiederle qualcosa, una domanda banale, ma non ho ricevuto risposta. Solo quel continuo scrutarmi in modo sempre più insistente e pungente, che mi provocava una sensazione quasi fisica di angoscia e di panico, ma da cui non riuscivo a staccarmi.
A un certo momento la sua bocca si è atteggiata a sorriso, mentre
la sua carnagione ha iniziato a impallidire, le sue mani affusolate a mostrare i segni di un improvviso dimagrimento, quasi si stesse progressivamente asciugando, mettendo a nudo in modo sempre più evidente le ossa acute del suo scheletro. E io restavo lì, sulla spiaggia, affascinata da quella metamorfosi improbabile e tanto terribile.

L'ultimo ricordo che ho di Gudrun è il suo volto ossuto, scheletrico, che nulla aveva a che fare con lo splendore di qualche minuto prima, e i due occhi a mandorla che per un attimo hanno invaso lo schermo, che lo hanno attraversato come se fosse stato liquido penetrando in me stessa fin nel profondo trascinandomi verso un abisso d'angoscia.
Poi, in un istante, un reset del sistema ha fatto sparire lo schermo e la tensione è venuta improvvisamente meno nel volgere di una breve, inconsistente scarica di energia elettrostatica; un improvviso senso di liberazione, quasi fossi riuscita per un pelo a fuggire da un pericolo mortale.


Destini intrecciati, sdoppiamento della personalità, patologia psicologica? Non so proprio. Forse solo stanchezza. Ne ho già trattato e più passa il tempo meno riesco a trovare risposte convincenti. Mi è sembrato per un momento di vedere me stessa attraverso uno specchio distorto, come un'immagine di una Rossana leggermente diversa, appena sovrapposta a quella reale. Forse solo l'illusione di poter ritrovare qualcosa di irrimediabilmente perduto nel tempo, qualcosa che ancora permane nel profondo di me stessa e che, di tanto in tanto, ricompare togliendomi per un attimo la ragione.

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