È difficile pensare che SL possa essere fonte di inquietudine. Magari di noia, di irritazione, di svogliatezza… ma il senso di paura è, o dovrebbe essere, qualcosa di estremamente lontano dal concetto di mondo digitale; se non altro perché, mancando l’idea di violenza fisica e di morte, le aspirazioni verso sensazioni di questo tipo rimangono in realtà delle semplici osservazioni che riguardano più la sfera dell’estetica che non il mondo delle pulsioni emotive.
Là dove tuttavia la violenza verbale e la minaccia vengono utilizzati come elementi di intimidazione e di disturbo, la reazione può essere in alcuni casi di timore, un timore che – come nella vita reale – può trasformare una persona tranquilla in una bestia assetata di sangue spinta da un unico scopo: eliminare fisicamente chi gli dia fastidio, sperando che la morte o la sua emarginazione siano lente e dolorose.
Sono le 02:35 a.m. PST e il sole è ormai tramontato da un pezzo dal cielo pallido e senza nuvole di SL, almeno nell'area in cui mi trovo in questo momento. La zona ricorda il quartiere Shiodome Shiosite di Tokyo e, come questo, è praticamente deserto, soprattutto nelle ore tarde della notte. In genere preferisco non forzare la luce solare a un orario diverso, anche perché SL in versione notturna ha un fascino estremamente suggestivo. Passeggio costeggiando alti grattacieli, seguendo una strada in leggera salita punteggiata da lampioni che lanciano brevi sprazzi di luce sul cemento liscio del marciapiede.
Alla destra dello schermo ho il monitor di un recente radar acquistato in un negozio cinese, che mi permette di vedere chi ci sia nei paraggi evidenziando il nome e la data di nascita in verde o rosso a seconda che l’avatar si trovi a una distanza superiore o inferiore ai 20 m.
All'imbocco di una traversa il radar mi avverte della presenza di tre persone a una cinquantina di metri. Proseguo camminando lentamente. La strada diventa a poco a poco una statale a due corsie, una strada mai percorsa da alcun mezzo meccanico, che si inerpica gradualmente sulla cresta di un'altura. Continuo a camminare giusto per la soddisfazione di capire dove vada a finire. I palazzi iniziano a scomparire gradualmente dallo schermo e, al loro posto, si va costruendo a pezzi e a frammenti successivi l'immagine di una scogliera ripida e aspra che precipita per un centinaio di metri sulla destra in un mare piatto e tranquillo.
Un caseggiato lontano si perfeziona a poco a poco mentre mi avvicino; parti di tetto e del rivestimento della facciata arrivano progressivamente coprendo gli spazi vuoti, mentre la luna si riflette in modo improbabile sulla distesa piatta del mare.
Mi alzo dal computer per preparami qualcosa da bere, lasciando il mio avatar di fronte al precipizio. Perdo tempo con una telefonata in arrivo e, mentre sto per concludere, noto una serie di frasi che si compongono sulla sinistra dello schermo.
Non riesco a seguire il senso, parlando al telefono. Frasi smozzicate, incomplete, in uno slang americano da quartiere depresso. Termino la chiamata ed entro nella cronologia.
Le voci sono ancora lontane, dato che appaiono in una sfumatura verde pallida. Una cosa è certa: non sono frasi di benvenuto.
Attivo uno scan con il radar e noto che le tre figure di prima sono ora a una ventina di metri da me. Faccio finta di niente e riprendo a camminare, senza alterare la velocità del passo, mentre la Minimap mi conferma i tre punti verdi in avvicinamento lungo la strada.
Le voci si avvicinano, diventando improvvisamente bianche, proprio mentre il radar indica ora i tre nomi in colore rosso. Siamo sotto la soglia dei venti metri. Mi fermo e mi volto.
Le tre figure si fermano anch’esse. Appaiono leggermente indistinte, non altrettanto le parole che compaiono a sinistra. Mi insultano pesantemente chiedendomi prestazioni sessuali e minacciando, in caso contrario, delle ritorsioni terribili. Il primo, il più avanzato, è un tipo grande e grosso a torso nudo, pesantemente tatuato, con orecchini e occhiali a specchio dai riflessi arancione che lasciano sprazzi nell’oscurità. Il secondo è più basso, con un paio di jeans strappati e il volto standard da newbie. Indossa una teeshirt bianca e scarpe da ginnastica. Il terzo…non so cosa sia. Un animale mostruoso, come un pipistrello costretto a procedere sul terreno raspando con i pollici artigliati e procedendo in modo orribile a balzelloni muovendo alternativamente le lunghe ali nere sulla strada come schifose mani anchilosate.
Rispondo per le rime cercando di ferirli quanto più possibile. A quel punto tra le mani del newbie compare un'arma futuristica, un enorme cannone da robot giapponese degli anni ‘70. Non ho il tempo di focalizzare la cosa che un bagliore mi scaraventa a una ventina di metri lungo la strada. Riesco a rimettermi in piedi e a voltarmi verso il caseggiato che ormai ha preso forma completa. Osservo la Minimap e noto che i tre sono lontani. Un nuovo bagliore si riflette sulla strada a qualche metro da me. Il sim in cui mi trovo non permette attività di volo, quindi setto il sistema di corsa automatica e procedo spedita verso la casa, aprendo nel contempo l'inventario per teletrasportarmi da qualche altra parte.
Un altro bagliore indica che il tipo ha sparato di nuovo, ma un attimo prima il comando del tp annerisce lo schermo.
Eccomi in un nuovo sim, indistinto, in cui compaio grigia per metà. È una spiaggia, con tanto di ombrelloni, anche se non c’è sole a causa dell’orario e neppure anima viva, situazione confermata dalla mappa. Il mare sciaborda sulla risacca con un gran rumore che riempie la stanza. Rimango per un attimo a riprendermi con lo schermo ancora affollato di finestre aperte, quando a qualche metro da me compare la figura del newbie, che ancora imbraccia l’arma da robot. Mi prende il panico. Come avranno fatto a capire la mia destinazione?
La Minimap conferma l’arrivo degli altri due. Inizio a correre lungo la spiaggia.
Ruotando per un attimo la telecamera noto che fra le gambe del tatuato è comparso un grosso membro eretto, segno chiaro delle intenzioni del tipo. Una botta da dietro mi fa piroettare per una ventina di metri. Mi sollevo in volo, ma i tre mi seguono senza staccarmi di un metro. Poi ricordo…
“Fist of God” si chiamava, o qualcosa del genere. È stato il frutto di uno scambio con abiti freebie; il polacco, alto e calvo, programmatore di professione, mi aveva consigliato di usarlo solo caso di estrema necessità.
Inizia una ricerca affannata nell’inventario, mentre cerco di tenere d’occhio i tre che mi seguono da presso. Non lo trovo. Vado in panico, mentre mi affanno alla ricerca dell’oggetto, cambiando di continuo la velocità e la quota di volo. Eccolo!
Indosso l’oggetto che si trasforma in una specie di aureola grigia a una cinquantina di cm sopra la mia testa e, nello stesso momento, appare la finestra con le istruzioni. Cazzo, sono in polacco!
Le parole dei tre si susseguono sulla sinistra dello schermo. Parole di scherno, insulti, minacce, mentre un nuovo colpo parte dall’arma e si perde nell’atmosfera alla mia destra con una lunga scia bianca.
Cerco di ricorrere alle assonanze col poco russo che ancora ricordo e individuo il punto: la combinazione di tasti “/5 k nom.av.” mette fine prematuramente all’avatar obiettivo. Così sembra dire il testo. Non so cosa significhi, ma vale la pena di tentare. Scrivo freneticamente inserendo il nome del tipo tatuato, e invio. Nulla. Osservo il radar, sono oltre i venti metri; forse siamo troppo lontani. Decido di rischiare fermandomi e iniziando a scendere di quota cercando di raggiungere la spiaggia... al massimo posso sempre resettare.
Atterro sulla spiaggia mentre i due avatar umani toccano terra quasi contemporaneamente a me; l’animale mostruoso rotea intanto con le ali nere a una decina di metri sulla nostra testa.
“Vediamo cosa sai fare con quell’affare” dico al tatuato, mentre il newbie mi scarica l’arma addosso facendomi ruzzolare per una ventina di metri.
Segue una serie di insulti fra i due e, in un attimo, l’arma scompare dalle mani del tipo in maglietta bianca.
Il tatutato si avvicina: 5 metri, 3. Inserisco il codice e invio. Il tale si sbriciola risucchiato in se stesso. Un piccolo turbine di pixel multicolori permane per un attimo nel punto in cui si trovava il tipo, per poi dissolversi all’istante. Caspita, funziona! Dio benedica i polacchi!
Il newbie inizia ad affannare.
“Come hai fatto, troia?” mi dice mangiandosi le parole, mentre sul lato dello schermo noto la bestia che sta atterrando a una qualche metro da noi.
“Adesso te lo faccio vedere…” penso mentre digito il codice seguito dal suo nome. Il newbie scompare come calpestato da una forza immane, proprio nell’istante in cui – in un ultimo tentativo di reazione – gli ricompare fra le mani l’arma giapponese.
Ne manca solo uno ora.
È questo il momento di cui parlavo, un momento di bieca soddisfazione in cui vorresti prolungare all’infinito la sensazione di vendetta. Una sensazione che, in questo momento, è l’unica cosa che conti veramente nella tua vita. Mi rendo conto di avere le mani sudate che tremano.
Parole sconnesse compaiono sulla sinistra dello schermo, ma non faccio caso al senso: non devo dargli la possibilità di tp da qualche parte.
Mi avvicino zoomando verso la sua faccia. Una faccia da cane, con denti aguzzi e uno sguardo livido. Dò l'invio osservando da vicino l'effetto: l'immagine si comprime, si frammenta progressivamente, come se fosse finita sotto una pressa dalla forza prodigiosa. Poi più nulla.
Tremo. L’adrenalina mi fa sobbalzare più volte sulla sedia. Non credevo fosse possibile una cosa del genere. Faccio un check con la finestra di search, ma i tre risultano essere offline. Chissà per quanto ancora, forse solo il tempo di rientrare. Mi sconnetto prima di avere altre brutte sorprese e mi verso un'Anisette che tracanno in un sorso. Sono sudata fradicia e m'infilo sotto la doccia pensando alla soddisfazione appena ottenuta.
Non credevo che SL si prestasse in modo così realistico a far vivere sensazioni quasi fisiche, così come ad innescare torrenti di adrenalina o sensazioni di panico e paura quasi patologiche. Non è stata una bella esperienza, certo, ma in un mondo che si rispetti anche questa è una caratteristica positiva, che lo rende vario e imprevedibile quanto lo è il mondo della realtà fattuale. Come sempre bisogna avere le doti e gli strumenti per sopravvivere, unitamente a una buona dose di fortuna e a una vitale capacità d'improvvisazione.
È da qualche minuto che sto appoggiata alla finestra a osservare i ragazzi all’uscita dalla scuola qui di fronte. Sto sorseggiando uno di quei beveroni al paracetamolo dal forte gusto di lampone industriale, sperando che mi aiuti a superare quell’accesso febbrile che dall’arrivo a Bucarest mi sta tormentando. I ragazzi schiamazzano, rumori di motorini, baluginii di cellulari e occhiali da sole all’ultima moda: che differenza rispetto ai ragazzi del ’90, quando questo paese si apriva alla sua nuova vita democratica. Un cane, dall’altra parte della strada, passa veloce tenendo d’occhio il gruppo.
All’improvviso avverto una vibrazione, poi una sensazione di vertigine. Le cose cominciano a sbriciolarsi, perdo l’equilibrio. La prima idea è quella del terremoto, una replica della tragedia del ’77, in cui il 70% della città rimase mutilata. Inizio a cadere. Sento un dolore al ginocchio sinistro, mentre la tazza precipita con un tintinnio qualche metro più giù.
Mi rialzo senza problemi. Niente. C’è qualcosa di strano. I ragazzi non ci sono più. La piazza è silenziosa e mi trovo al bordo di una piscina che non avevo notato prima. Dagli speaker giunge il lugubre ululato di una sirena. Ma che sta succedendo? Poco più in là tre figure stanno parlando fra loro in giapponese. Uno è alto, vestito di nero, con le ali; il secondo è qualcosa fra un djinn e un orsacchiotto di peluche, che rimane sollevato da terra di circa un metro. La terza è una figura indistinta, una ragazzina con le trecce di moda nel quartiere di Harajuku. Non parla.
I due mi si rivolgono in giapponese. Rispondo con una frase fatta e inserisco il traduttore automatico. Lo stesso fa la figura nera, alla mia sinistra.
“Ci siamo quasi” dice la voce.
“Cosa sta succedendo? E’ tutto molto strano” gli chiedo.
Sto osservando la lista degli ideogrammi che compare sulla sinistra in attesa della traduzione in inglese, quando in lontananza il cielo s’illumina improvvisamente. Un bagliore fortissimo, come i mille soli di un’esplosione nucleare.
“Non guardare o perderai la vista” dice la voce.
Lo schermo è quasi bianco. A malapena riesco a intravedere gli ideogrammi che preludono a una nuova frase.
“I griefer avevano promesso di sferrare un attacco ai centri del potere e lo hanno fatto: Linden Lab, Reuters palace, Nagaya, l’area di Anshe Chung. Nessuno escluso”.
Per un attimo mi viene un groppo alla gola. E’ dal 90 che vivo nel costante incubo di quello che sto vivendo in questo momento.
“Cosa hanno usato? Missili? Aerei da bombardamento?”
“Kamikaze” dice la voce. “Vieni che ti mostro una cosa”.
Mi afferra per un polso con una particolare animazione e inizia ad alzarsi sulla verticale. L’orsacchiotto rimane alla mia destra muovendo la testa a destra e sinistra. A poco a poco prendono forma tre grandi funghi di vapore, il più vicino dei quali sta gradualmente cambiando in forma e dimensioni.
Kamikaze. Devono avere usato delle ADM, dalle dimensioni del fungo a occhio e croce di 10-15 kT di potenza. L’angelo nero ha iniziato una lenta virata e ora punta verso la base del fungo.
“Fermati. Sei impazzito?” gli grido, mentre le mie parole si trasformano in ideogrammi. Il tale non risponde. L’orsacchiotto è sparito. Cerco di divincolarmi. Niente. Provo a usare il teletrasporto. Niente da fare, l’angelo nero mi trattiene con una mano di ferro procedendo a capofitto all’interno del fungo.
Al ground zero la temperatura deve essere dell’ordine dei centinaia di migliaia di gradi, il che significa che negli strati bassi dell’atmosfera i gradi sono migliaia. Mi prende il panico, inizio a gridare.
Provo ancora col teletrasporto. Niente da fare. L’animazione deve essere studiata in modo che chi sia vincolato non possa liberarsi in nessun modo. Imploro di lasciarmi restando per un attimo in attesa degli ideogrammi che non arrivano, mentre la quota diminuisce paurosamente.
Lo schermo sta passando repentinamente dal bianco al rosso attraverso tutte le sfumature del giallo e dell’arancione. Il panico aumenta. La paura mi fa battere i denti. Grido.
Mi sveglio ansimando.
La casa è gelata. Sono scossa da un brivido irrefrenabile, segno che la febbre è ancora alta. Prendo l’iPod sul comodino per guardare l’ora. Le 03:48 ora di Parigi, le 04:48 ora di Bucarest. La grande città è addormentata. Solo il latrato di un cane lontano e passi che si perdono nel silenzio della notte.
Sindrome di Schnitzler, di Luis Buñuel, non saprei. Parlavo tempo fa di paletti psicologici, di argini da anteporre alla perdita del controllo psicologico di se stessi una volta che si è compiuto il salto nel mondo digitale di Second Life. Tutto questo avviene senz’altro quando il controllo emotivo è totale, quando cioè non ci siano condizionamenti o diversioni apportate da particolari sensi di debolezza fisica o mentale. In caso contrario tutto viene alla luce, mostrando quanto i limiti fra le due realtà siano spesso più una convenzione che un reale dato di fatto. Il difficile spesso sta nel capire dove inizi una e dove finisca l’altra.
Nella vita reale la presenza di imbecilli è un fatto talmente consolidato da passare spesso in secondo piano. Non tanto perché ciò non dia fastidio, ma perché l'abitudine di avere a che fare con personaggi dall'indubbia limitazione mentale è così normale che farsene un problema sarebbe per lo meno fuori luogo.
In SL la situazione è ancora più accentuata. Lo spazio virtuale favorisce infatti il proliferare di deficienti, piombati quasi per caso in un mondo che considerano a loro uso e consumo, proprio in virtù del fatto che l'apparente mancanza di regole trasforma delle tentazioni normalmente controllate nella RL in fenomeni da esagerare e da portare al parossismo, come se si fosse dominati dal gusto autolesionista di vedere come va a finire. E i risultati, neanche a dirlo, sono sempre a sfavore di chi tali comportamenti li mette in pratica.
Parlavo di apparente mancanza di regole. Sì, perché anche se non sembra, SL può diventare una prigione a cielo aperto, uno spazio sempre più limitato di azione, fino a trasformarsi in un mondo da incubo, ridottissimo, in cui la propria presenza diviene progressivamente sempre più limitata e inutile.
Mi trovavo con Eva in un locale raffinato. Ci conoscevamo da poco e - per evitare la staticità di un discorso a due sedute a un tavolino o appoggiate al bancone di un bar - avevamo deciso per due passi di step sulla pedana multicolore della sala da ballo.
L'atmosfera era assolutamente perfetta: poca gente, una splendida canzone di Michael Franks come sottofondo e una serie di realissimi passi di danza che - per una volta almeno - apparivano perfettamente sincronizzati.
E' strano, ma preferisco ballare con le donne, non tanto per motivi di particolare gusto sessuale, ma per il piacere estetico che mi provocano due donne che ballano in SL. Le movenze sinuose e seducenti dimostrano infatti che i programmatori delle animazioni si sono prodigati molto di più con le movenze femminili, che non con i rudi e spigolosi passi di danza maschili. E ciò - disgraziatamente - non fa che attirare ancor di più chi in SL perde il proprio tempo in cerca di improbabili attenzioni sessuali.
La luce stava passando gradualmente alle tonalità ambrate del tardo pomeriggio e, proprio per il numero assolutamente esiguo di persone presenti, il lag generale era contenuto. La melodia di Michael Frank si era stemperata in una languida canzone di Gladys Knight ed ecco il classico cretino che rompe un'atmosfera quasi ideale.
Si era messo alla nostra sinistra leggermente al di fuori del mio angolo di visione con la sua squallida, plastica carnagione da newbie e i capelli da bambola di silicone trattato. Il ritmico, irritante movimento delle mani anticipava di un attimo una serie di apprezzamenti pesanti e una serie di frasi sconnesse, articolate per il solo gusto di dare fastidio.
Il tale rimaneva nella stessa posizione. Vedevo solo le mani che si muovevano ritmicamente e mi resi conto in quel momento di odiarlo dal profondo per la sua limitatezza mentale, per avere rotto un incanto e per la sua insistenza fastidiosa, come una cimice nel letto sudicio di un albergo di Luanda. Più che una proposta erotica era il gusto sadico di dare fastidio, un'apoteosi d'imbecillità e petulanza.
Le minacce di prendere dei provvedimenti non davano risultati. La sua caparbietà nel dare fastidio era tale da non fargli pensare ad altro che a rispondere in modo sempre più concitato alle nostre minacce. La situazione si è protratta per qualche minuto, in modo sempre più irritante.
Abbiamo iniziato a pensare di cambiare locale, mentre un fiume di parole si accavallava sulla sinistra dello schermo. Il tale stava ora questionando con qualcuno che non era visibile. Mi sono sentita dare del gay giapponese e ho risposto per le rime, ma da quel momento non sono più riuscita più a seguire il discorso, tante erano le parole, gli insulti, gli improperi, mentre le mani di plastica si agitavano sulla sinistra dello schermo, annegate in un mare di lettere verdi e bianche.
Ci siamo voltate entrambe verso il cretino e, a fianco del newbie, è comparsa la visione di un piccoletto con i capelli lunghi, bianchi, raccolti in una coda di cavallo. Ecco a chi erano indirizzati gli improperi, a uno sfigato che veramente sembrava un gay giapponese.
Ho iniziato a ridere senza riuscire a trattenere le lacrime. L'unica soluzione era un teletrasporto rapido in un luogo più tranquillo e, in un attimo, della scena ne è rimasta solo la pallida evanescenza di una serie di parole senza senso.
La capacità di alcune persone di rendersi insopportabili trascende da qualsiasi comunicazione di ordine tradizionale e la serie di cordoni ombelicali che SL mette a disposizione permettono a volte ai parassiti e ai rompicoglioni di avere la meglio sulla gente che si fa i fatti propri. Sta di fatto che qualche giorno più tardi, dimentica della serata rovinata da quel rompiscatole, mentre mi aggiravo per un grande negozio giapponese, è comparso un messaggio in IM:
“Ehi Ross, se vuoi farti quattro salti con me io sono sempre disponibile…"
Speravo di esserne sfuggita, ma mi sbagliavo. Era solo l'inizio di una lunga, infinita storia.
Il grado di perfezionamento estetico di un avatar è direttamente proporzionale al tempo trascorso in SL. Sia in senso positivo sia in senso negativo. L'accumulo di esperienza nella manipolazione degli elementi strutturali di un av umano o di un furry è tale da discriminare in modo evidente chi frequenti SL da una settimana, rispetto a chi bazzichi per le vie digitali da un tempo molto più lungo. Il segreto non sta tanto nell'apportare modifiche sostanziali tutte in un colpo, ma di acquisire una vera e propria capacità di autolimitazione. Si tratta cioè di quella capacità acquisita che permette di aggiungere in modo graduale e indolore elementi e caratteristiche tali da variare in modo quasi impercettibile il risultato finale. Lo scopo è infatti quello di evitare di rendersi improvvisamente irriconoscibile o di guastare in un colpo solo settimane di perfezionamenti e miglioramenti progressivi, perdendo di vista quello che è il fine ultimo e più importante di SL: essere una copia sempre più perfetta del mondo della realtà fattuale, ma con qualche miglioramento in più.
Rendere l'avatar sempre più reale e sempre meno legato alla manciata di pixel che ne costituiscono la struttura di base è dunque il motivo ultimo della manipolazione morfologica ma, soprattutto, quello di disporre di uno strumento che permetta di potenziare, quanto più possibile, il proprio grado di autocompiacimento.
Che sia innamorata di me stessa è indubbio. Passo delle ore a guardarmi e a migliorarmi e i risultati - almeno così mi sembra - sono tutt'altro che negativi. Ormai riesco a modellare il mio corpo con risultati soddisfacenti, risultati che nel mondo reale richiederebbero mesi di workout massacranti in palestra, regimi dietetici all'orlo della follia o decine di migliaia di euro in perfezionamenti estetici. Tutto questo però ha un costo, non tanto economico, quanto più di impegno e di sostegno morale.
Sì, perché l'attività di modifica delle proprie caratteristiche morfologiche non può né dovrebbe prescindere in genere dal supporto di un consulente. Si tratta di qualcuno di assolutamente fidato, che ti consigli e ti convinca su quale sia la scelta migliore, senza tuttavia interferire in modo troppo deciso sui tuoi voleri personali. Un po' come il chirurgo plastico di fiducia che, al di là dell'eseguire alla lettera quanto tu direttamente richiedi, ti consigli per il meglio circa le scelte e i risultati finali e, soprattutto, che sia fidato al punto da essere sicuri che non si faccia prendere dalla smania di strafare. Certo, perché l'intervento ostile di un consulente non fidato può tramutarsi in un'arma terribile, che può determinare metamorfosi incontrollabili e disastri irrecuperabili, tali da portare a decidere in modo drastico e drammatico di mettere definitivamente fine alla propria vita virtuale.
D'altra parte agire da soli non è quasi mai il modo vincente di operare, anche perché - oltre al piacere a se stessi - lo scopo ultimo è quello di piacere al prossimo. E il giudizio personale su se stessi è sempre troppo indulgente o, in certi casi, troppo severo, quindi mai veramente obiettivo.
Insieme alle manipolazioni strutturali esistono poi una serie di altre caratteristiche che possono rendere se stessi più o meno piacenti. Una delle potenzialità che permettono a un abitante di SL di differenziarsi in modo evidente da un newbie è la camminata, situazione difficile da gestire, tanto quanto da mettere in pratica, proprio per la facilità di ridicolizzare in modo definitivo la propria immagine o di renderla molto diversa da quanto in realtà non ne rispecchi il carattere.
Ho acquistato di recente un paio di costose scarpe a zeppa, leggermente esagerate per gli standard di RL, ma ideali per passeggiare lungo le strade di SL e che si adeguano quasi perfettamente alle caratteristiche fisiche che mi contraddistinguono. Si tratta di un modello raffinato, con grandi suole che mi rendono ancor più alta di quanto io già non sia.
Come per gli occhiali, anche le scarpe possono cambiare colore, giusto per intonarle a qualsiasi vestito s'indossi; e, a renderle più complete, c’è poi la possibilità di variarne il colore dei lacci in modo autonomo rispetto alla tomaia. Mi sono costate un occhio, ma ne è valsa la pena e non solo per le sfumature cromatiche che esse presentano.
Mi trovavo nel centro di Amsterdam, con un discreto lag causato dagli innumerevoli elementi solidi utilizzati per ricreare l'ambientazione urbana, seduta in un piccolo bar a godermi il passaggio. Avevo indossato le scarpe e mi ero riseduta per tentare di cambiare le tonalità di colore. Le solite richieste di amicizia e i saluti ammiccanti si erano susseguite per gli ultimi dieci minuti, poi l'arrivo di una persona un po’ più interessante mi aveva per un attimo distratto dal recente acquisto. Sta di fatto che dopo circa una mezzora, stanca di continuare a osservare il mondo dalla stessa prospettiva, mi sono decisa da fare un giro nei paraggi. Ed ecco la rivelazione, qualcosa di mai sperimentato e che da quel momento mi ha cambiato la vita: invece dell'incedere a passetti, con l'andatura classica da marionetta che tanto contraddistingue i più biechi newbie, il mio corpo ha iniziato ad ondeggiare e a camminare come nessuna delle più scafate mannequin potrebbe mai riuscire a fare. Uno sculettamento tanto sexy da entusiasmare non solo il gruppetto di avventori del locale, ma soprattutto me stessa.
Neanche a dire che la passeggiata lungo la Damrak ha lasciato un segno, quasi si sia trattato di un rito di passaggio a una nuova dimensione sociale in un mondo che di giorno in giorno diventa più complicato. Strascichi importanti ce ne sono stati, non ultima la mania quasi patologica per le scarpe, che ora non mi tolgo neanche per andare a fare il bagno in piscina. La camminata a passetti è diventata ormai una vergogna da consumare solo a casa propria o lontani da qualsiasi sguardo estraneo. Un po’ come la postura impalata che tanto contraddistingue i nuovi venuti dai veri abitanti di SL.
Ma questa è un’altra storia.