giovedì 22 febbraio 2007

Deliri influenzali



È da qualche minuto che sto appoggiata alla finestra a osservare i ragazzi all’uscita dalla scuola qui di fronte. Sto sorseggiando uno di quei beveroni al paracetamolo dal forte gusto di lampone industriale, sperando che mi aiuti a superare quell’accesso febbrile che dall’arrivo a Bucarest mi sta tormentando. I ragazzi schiamazzano, rumori di motorini, baluginii di cellulari e occhiali da sole all’ultima moda: che differenza rispetto ai ragazzi del ’90, quando questo paese si apriva alla sua nuova vita democratica. Un cane, dall’altra parte della strada, passa veloce tenendo d’occhio il gruppo.

All’improvviso avverto una vibrazione, poi una sensazione di vertigine. Le cose cominciano a sbriciolarsi, perdo l’equilibrio. La prima idea è quella del terremoto, una replica della tragedia del ’77, in cui il 70% della città rimase mutilata. Inizio a cadere. Sento un dolore al ginocchio sinistro, mentre la tazza precipita con un tintinnio qualche metro più giù.

Mi rialzo senza problemi. Niente. C’è qualcosa di strano. I ragazzi non ci sono più. La piazza è silenziosa e mi trovo al bordo di una piscina che non avevo notato prima. Dagli speaker giunge il lugubre ululato di una sirena. Ma che sta succedendo? Poco più in là tre figure stanno parlando fra loro in giapponese. Uno è alto, vestito di nero, con le ali; il secondo è qualcosa fra un djinn e un orsacchiotto di peluche, che rimane sollevato da terra di circa un metro. La terza è una figura indistinta, una ragazzina con le trecce di moda nel quartiere di Harajuku. Non parla.
I due mi si rivolgono in giapponese. Rispondo con una frase fatta e inserisco il traduttore automatico. Lo stesso fa la figura nera, alla mia sinistra.

“Ci siamo quasi” dice la voce.

“Cosa sta succedendo? E’ tutto molto strano” gli chiedo.

Sto osservando la lista degli ideogrammi che compare sulla sinistra in attesa della traduzione in inglese, quando in lontananza il cielo s’illumina improvvisamente. Un bagliore fortissimo, come i mille soli di un’esplosione nucleare.

“Non guardare o perderai la vista” dice la voce.

Lo schermo è quasi bianco. A malapena riesco a intravedere gli ideogrammi che preludono a una nuova frase.

“I griefer avevano promesso di sferrare un attacco ai centri del potere e lo hanno fatto: Linden Lab, Reuters palace, Nagaya, l’area di Anshe Chung. Nessuno escluso”.

Per un attimo mi viene un groppo alla gola. E’ dal 90 che vivo nel costante incubo di quello che sto vivendo in questo momento.

“Cosa hanno usato? Missili? Aerei da bombardamento?”

“Kamikaze” dice la voce. “Vieni che ti mostro una cosa”.

Mi afferra per un polso con una particolare animazione e inizia ad alzarsi sulla verticale. L’orsacchiotto rimane alla mia destra muovendo la testa a destra e sinistra. A poco a poco prendono forma tre grandi funghi di vapore, il più vicino dei quali sta gradualmente cambiando in forma e dimensioni.

Kamikaze. Devono avere usato delle ADM,
dalle dimensioni del fungo a occhio e croce di 10-15 kT di potenza. L’angelo nero ha iniziato una lenta virata e ora punta verso la base del fungo.

“Fermati. Sei impazzito?” gli grido, mentre le mie parole si trasformano in ideogrammi. Il tale non risponde. L’orsacchiotto è sparito. Cerco di divincolarmi. Niente. Provo a usare il teletrasporto. Niente da fare, l’angelo nero mi trattiene con una mano di ferro procedendo a capofitto all’interno del fungo.
Al ground zero la temperatura deve essere dell’ordine dei centinaia di migliaia di gradi, il che significa che negli strati bassi dell’atmosfera i gradi sono migliaia. Mi prende il panico, inizio a gridare.
Provo ancora col teletrasporto. Niente da fare. L’animazione deve essere studiata in modo che chi sia vincolato non possa liberarsi in nessun modo. Imploro di lasciarmi restando per un attimo in attesa degli ideogrammi che non arrivano, mentre la quota diminuisce paurosamente.
Lo schermo sta passando repentinamente dal bianco al rosso attraverso tutte le sfumature del giallo e dell’arancione. Il panico aumenta. La paura mi fa battere i denti. Grido.

Mi sveglio ansimando.

La casa è gelata. Sono scossa da un brivido irrefrenabile, segno che la febbre è ancora alta. Prendo l’iPod sul comodino per guardare l’ora. Le 03:48 ora di Parigi, le 04:48 ora di Bucarest. La grande città è addormentata. Solo il latrato di un cane lontano e passi che si perdono nel silenzio della notte.

Sindrome di Schnitzler, di Luis Buñuel, non saprei. Parlavo tempo fa di paletti psicologici, di argini da anteporre alla perdita del controllo psicologico di se stessi una volta che si è compiuto il salto nel mondo digitale di Second Life. Tutto questo avviene senz’altro quando il controllo emotivo è totale, quando cioè non ci siano condizionamenti o diversioni apportate da particolari sensi di debolezza fisica o mentale. In caso contrario tutto viene alla luce, mostrando quanto i limiti fra le due realtà siano spesso più una convenzione che un reale dato di fatto. Il difficile spesso sta nel capire dove inizi una e dove finisca l’altra.



1 commento:

Samantha Goldflake ha detto...

Troppo bello, è sempre un piacere leggerti!

Comunque riguardati, ci si sente presto ciao!